La ferrovia Pedemontana Sacile-Gemona
Se c’è una linea ferroviaria che meglio riesce a riassumere le bellezze paesaggistiche del Friuli, le sue diversità, la ricchezza di tante prospettive, toccando paesi lontani dalle grandi vie di comunicazione, spesso intatti nelle loro originarie dimensioni e identità urbanistiche, questa è la Sacile-Pinzano-Gemona. Un’opera di ingegneria ferroviaria che, coerentemente col paesaggio attraversato, gareggia con questo per bellezza e armonia, e diventa un tipico esempio – lungo 75 km – di archeologia industriale del primo Novecento, con stazioni quasi tutte ancora intatte, magazzini merci coevi a quelle stazioni e simili gli uni agli altri, ponti e viadotti in ferro e pietra su letti ghiaiosi di fiumi larghi e maestosi – come il Tagliamento, il Meduna o il Cellina – con scambi, incroci e traversine affondate nel pietrisco candido delle stazioni e dei piccoli scali, che sembrano echeggiare le immense distese di ghiaia abbagliante di quei fiumi appena attraversati.
Come tutte le cose belle, la Gemona-Sacile ha un suo fascino segreto, lontano dai banali richiami turistici di agenzie alla ricerca di grandi numeri. La natura è certo meno prepotente e più accessibile, e il treno la percorre con familiarità, quasi l’avesse da sempre conosciuta, correndo tra le colline moreniche di Meduno e Travesio, penetrando i rilievi più pronunciati presso Pinzano con discrete gallerie, collegando i campanili e i borghi cresciuti armonicamente attorno ad essi con un innato e silente spirito di servizio.
Ferrovia sorta più per interessi strategico militari che per vere esigenze trasportistiche, è stata in realtà creata dall’unione di due precedenti linee, la Casarsa-Pinzano-Gemona (completata nel 1914 per avere una linea a difesa del fronte italiano che poteva ripiegare sul Tagliamento in caso di invasione nemica), e la Sacile-Pinzano (inaugurata tardivamente nel 1930), per collegare fra loro centri da sempre uniti. Persa la tratta Pinzano-Casarsa, inspiegabilmente chiusa al traffico passeggeri nel 1966, isolando ferroviariamente l’importante e bellissimo centro di Spilimbergo, si decise di saldare i due tronchi sopravvissuti, creando la “Pedemontana” Sacile-Gemona e mettendo in collegamento la “Veneto-Illirica” Mestre-Udine con la “Pontebbana” Udine-Tarvisio, bypassando il nodo ferroviario di Udine.
Una linea, la “Pedemontana”, che poteva funzionare come ferrovia che sgravasse di traffico, soprattutto merci, la Mestre-Udine-Tarvisio, risparmiando anche qualche manciata di chilometri (15 per la precisione), ma che venne però mantenuta in uno stato di mera sopravvivenza, dopo qualche rinnovamento tecnologico nei primi anni Novanta.
Le corse passeggeri si diradarono sempre più, il traffico merci venne praticamente sospeso (se si esclude quello ingentissimo che ancora interessa Osoppo e la zona industriale di Rivoli), diventò impossibile raggiungere da una stazione qualsiasi della linea la città di Udine e farvi ritorno in giornata, sia pure nei giorni festivi, gli unici giorni che vedevano circolare i treni tra Pinzano e Gemona. Tanto da rimpiangere gli anni Cinquanta e Sessanta, quando con le vecchie automotrici si poteva partire all’alba in tempo per la coincidenza con i treni per Vicenza e quindi con il rapido per Milano, o al ritorno la presenza delle provvidenziali “littorine” permetteva di ripartire il tardo pomeriggio dal capoluogo lombardo, perché la sera stessa al primo binario della stazione
di Sacile erano lì pronte, con i motori accesi, in coincidenza per Pinzano e Gemona. Ci volle un modesto smottamento nei pressi della stazione di Meduno per incoraggiare i vertici delle Ferrovie a sospendere il servizio. Correva l’anno 2012. Ma da allora, la più dimenticata tra le linee locali friulane fu oggetto di un’azione di protesta che, dapprima piuttosto timidamente, con un comitato spontaneo, poi sempre più decisamente e largamente, si impose all’attenzione delle amministrazioni comunali dei paesi interessati e della Regione, e quindi dell’Ente proprietario della linea, le Ferrovie dello Stato. Una
battaglia durissima si impose alla fine contro l’indifferenza dei più, e fece capire a tutti che la ferrovia era un bene culturale e soprattutto un bene comune che non doveva essere dismesso, perché avrebbe potuto migliorare le relazioni tra i centri attraversati (era, come ben sapevano i pendolari, il mezzo di collegamento di gran lunga più veloce e sicuro tra Pinzano e Sacile) e poteva incentivare il turismo con un mezzo, amico e alleato della bicicletta, antico ma ancora tutto da scoprire. Località ai margini dei flussi turistici tradizionali, avrebbero potuto contare nientemeno che su un treno per farsi scoprire nelle loro potenzialità culturali e gastronomiche, naturalistiche e paesaggistiche. Alla fine tutti ci hanno creduto, e da parte della costola culturale delle Ferrovie italiane, la Fondazione FS, arrivò assieme alla Regione Friuli Venezia Giulia l’aiuto che fin qui era mancato.
Dall’11 dicembre 2017, conclusasi la festosa inaugurazione del giorno prima, i treni – i moderni “Minuetto”, i pronipoti delle gloriose “littorine” – tornarono a incrociarsi lungo le stazioni della “Pedemontana” per portare pendolari, studenti, ciclisti e turisti di tutte le età in viaggio lungo questo mitico tracciato. Tra Maniago e Sacile tutti i giorni, tra Maniago e Gemona, dopo la seconda inaugurazione del 29 luglio 2018, lasciando il posto a treni d’epoca a trazione a vapore o Diesel, solo qualche domenica, per la gioia di chi del treno vuole apprezzarne l’indiscusso fascino. Una vittoria di tutti, ma una vittoria che si dovrà mantenere nel tempo favorendo l’utilizzo del treno e disseminando la linea di attrazioni tangibili, creando itinerari turistico-culturali di prim’ordine, che dovranno avere nelle vecchie stazioni della “Pedemontana” un punto di riferimento certo e affidabile.
Gli esempi, nel resto d’Italia, fortunatamente non mancano e il turismo ferroviario, nato negli anni ruggenti della Belle Époque e ricchissimo di storia, conoscerà anche in Friuli un rilancio tutto da scoprire e realizzare con grande e decisivo impegno.
Romano Vecchiet
Stazione di Pinzano
Stazione di Sacile
Stazione di Majano
La ferrovia Udine – Majano
Tutto ciò che rimane è una stazione a Nord di Udine, seminascosta dalla vegetazione, qualche casello trasformato in rustica villetta, un viadotto a Pagnacco tragicamente noto per essere stato teatro di tristi suicidi, e uno strano ponte sulla cosiddetta “Osovana” che restringe improvvisamente un lungo rettilineo ad Avilla di Buia funzionando da naturale dissuasore di velocità per i mezzi pesanti che la percorrono, e il cui tenace mantenimento, minacciato da progetti che l’avrebbero allargato e snaturato, è stato fortemente voluto dalla popolazione locale, anche per la valenza storica e simbolica che suggeriva. Già, perché sul sedime della Udine-Maiano, ultimato pochi anni dopo la fine della prima guerra mondiale utilizzando molta manodopera altrimenti disoccupata, non si posero mai binari né traversine (il cosiddetto armamento), ma al posto della ferrovia, allargando un po’ il sedime, si costruì non una pista ciclabile, come oggi si sarebbe fatto, ma addirittura una strada.
Sfortunata la storia di questa ferrovia, perché nacque per compensare Udine dalle sue tradite aspirazioni, originate dalla costruzione della Pedemontana, la Sacile Gemona, che proprio nel 1930 sarebbe stata completata. Udine aveva visto costruire attorno a sé, ma sfuggenti dal suo baricentro, una paio di linee che portavano altrove: prima la Portogruaro-Casarsa (1888), poi la Casarsa-Pinzano-Gemona (1914), poi la Sacile-Pinzano, linee che avevano un andamento Nord-Sud ma che evitavano il passaggio per Udine. La Udine-Maiano, invece, veniva costruita proprio per sovvertire questa tendenza, risucchiando il traffico generato dalla Sacile-Pinzano e in parte dalla Casarsa-Pinzano, e riportandolo nella capitale del Friuli.
Com’è noto, la ferrovia che avrebbe potuto servire un’ampia area in pieno sviluppo industriale e abitativo quale quella a Nord di Udine, mai ultimata, si trasformò in una strada, come avvenne suppergiù in quegli anni anche per la direttissima Udine-Bertiolo-Portogruaro. Un altro tassello ferroviario incompiuto, per la scarsa convinzione dei nostri amministratori dell’epoca, venne lasciato dapprima alla balia della vegetazione e dell’incuria, e poi a quella dei costruttori di strade: l’epoca d’oro dei trasporti su ferro era definitivamente tramontata.